«Chissà se il buon Dio perdonerà Palermo», canta, come una preghiera, Carmen Consoli in un brano dedicato all’Esercito silente di una Palermo «baciata da sole e mare», che fa i conti con «antichi rancori e ferite aperte» e che ogni giorno lotta per il riscatto: rispetto al passato insanguinato e al presente di chi non vuole che la città cambi.
Tutte queste cicatrici sono scritte sulle strade di questa città. Qui scorrono fiumi di sangue e questo non lo si può negare, sono visibili negli scatti di Letizia Battaglia, che ho incontrato in questi giorni, nell’ultimo film di Maresco appena presentato a Venezia che tenta di portate proprio allo Zen un “festival” dedicato a Borsellino e Falcone. La bruttezza, la violenza, esplode nella sua veste più grottesca quella di chi diviene vittima della propria indifferenza non solo per colpa sua, ma per un Paese intero che ha fatto dell’ignoranza e della paura la sua arma migliore durante la campagne elettorali.
Le parole di Paolo Borsellino pronunciate il 23 giugno 1992, alla commemorazione di Giovanni Falcone, rimbombano nella mia testa da quell’anno in cui io mi affacciavo verso la mia piena adolescenza: la lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Considero il 1992 per la mia generazione, e non solo, uno spartiacque. È un anno in cui il futuro, le grandi speranze – forse quelle che sono andata a cercare in questi mesi– sono morte definitivamente. Da quel punto in poi l’Italia è cambiata, nella nostra politica è arrivato subito dopo un nuovo dominus, ed il resto della storia la conosciamo bene…